Aggiornamento normativo

Si può fare

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La “sproporzione” del sequestro aziendale

Un’ultima riflessione sull’ordinanza del Tribunale del riesame di Napoli va infi ne dedicata al tema della “sproporzione” tra l’illecito ipotizzato (frode in commercio incentrata sull’etichettatura dei formaggi con simboli di “italianità”) e la misura cautelare richiesta e consistente nel sequestro non delle etichette, o al più dei prodotti già confezionati ed etichettati, ma addirittura di tutta la struttura aziendale quasi che quest’ultima altro non possa fabbricare se non prodotti con etichette presunte fraudolente. Il che evidentemente non è. Orbene anche quest’aspetto viene nettamente censurato dal Tribunale del riesame il quale inequivocabilmente afferma che “va rilevata l’assenza del nesso di pertinenzialità tra l’oggetto del sequestro richiesto (i caseifici) e i presunti reati ipotizzati” in quanto – osserva subito dopo il Tribunale – “l’azienda casearia non presenta una pericolosità “intrinseca”, in quanto ben può essere utilizzata anche in modo legittimo”.

Insomma tanta agitazione, da parte dei pubblici ministeri della DDA di Napoli, in primo luogo, per niente: 1) perché non c’erano neppure i presupposti astratti del reato ipotizzato (“fantasticato”, ci verrebbe quasi da dire); 2) perché in ogni caso, quand’anche solo pure astrattamente il reato fosse stato immaginabile, comunque non vi era alcuna giustificazione giuridica che legittimasse il sequestro del caseificio. Tanta agitazione e tanta preoccupazione in verità però vi è stata anche, anzi, soprattutto per i malcapitati titolari dei caseifici che dal 21 aprile 2010 al 14 ottobre 2013 (15 novembre in realtà, giorno del deposito in Cancelleria dell’ordinanza) sono vissuti sotto la spada di damocle di un (velleitario quanto si vuole, ma pur sempre minaccioso) sequestro giudiziario e comunque con l’angosciosa incertezza se perseverare o meno in comportamenti commerciali che per loro stavano a significare un procedimento penale in corso, mentre i loro colleghi/ concorrenti potevano tranquillamente (fino a un certo punto, in verità) continuare a procedere con le stesse loro modalità di lavorazione casearia e di etichettatura senza però doversi – almeno al momento – difendere in sede giudiziaria.

Una situazione, come ognuno può agevolmente riflettere, di assoluta iniquità e certamente penalizzante sul piano degli equilibri di mercato. Una situazione per molti versi anomala e che – nel settore agroalimentare – si ripete ormai con inquietante frequenza.

La “malagiustizia alimentare” e il rimedio della specializzazione

Dando naturalmente per scontata la buona fede degli inquirenti “erranti”, tale situazione ormai sfocia in veri e propri casi di “malagiustizia”, con conseguenze deleterie per le aziende italiane del settore alimentare e che in non pochi casi rischiano di divenire fatali per le aziende coinvolte. Aspettare, infatti, oltre tre anni – per sapere se hai lavorato e stai lavorando nel rispetto della legge oppure no – è una prova di “resistenza” ormai inconciliabile con la spietata concorrenza degli attuali mercati interni e internazionali. A questo perverso punto di debolezza del nostro sistema economico-giudiziario, unico rimedio possibile ci appare la creazione di sezioni specializzate negli uffici giudiziari, sin dalla fase delle indagini dei pubblici ministeri.

Invero un pubblico ministero specializzato – in questo caso – in legislazione degli alimenti lavora con maggiore celerità e con tasso ridotto di errori. In primo luogo sarà in grado di valutare anche criticamente le notizie di reato rapportategli dagli organi di polizia giudiziaria, ivi compresi quelli addetti al controllo ufficiale dei prodotti alimentari, archiviando così sul nascere quelle presunte (dai verbalizzanti) ipotesi di reato in effetti prive di riscontro già sul piano normativo. In tal modo non impegnerà né l’ufficio della Procura Repubblica né quelli ulteriori del Tribunale (e a seguire della Corte di appello e della Corte di cassazione) in fatiche giudiziarie vane che sottraggono però spazio e tempi di giustizia ad altre vicende – effettivamente criminali – che invece restano attualmente attardate e magari avvantaggiate (ai fini della prescrizione) dallo spazio giudiziario dedicato ad altri procedimenti (come quello qui analizzato) per evanescenti ed alla fine inesistenti ipotesi di reato come questa decisa dal Tribunale del riesame napoletano.

La specializzazione dei magistrati – di tutti naturalmente e non solamente dei pubblici ministeri ovviamente, è insomma una di quelle riforme a costo zero di cui la giustizia italiana ormai urgentemente necessita e questa – amara – esperienza conclusasi (speriamo!) dinanzi al Tribunale del riesame di Napoli il 14 ottobre 2013 ne è, se ce ne fosse stato ancora bisogno, l’ennesima conferma.