Buonanotte!

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Qualche tempo fa, molti giornali nazionali e internazionali, tra cui il Telegraph e il Guardian, hanno riportato con grande enfasi, quasi stupiti, la notizia relativa al cosiddetto latte notturno. Più in particolare, gli articoli pubblicati rimandano alle proprietà sedative e concilianti il sonno (almeno in modelli animali) conseguenti il consumo di latte munto di notte, notturno appunto. La notizia, tuttavia, non è nuova tanto che da quasi vent’anni la mungitura notturna è stata studiata e adottata per ottenere latti (liquidi o in polvere) commercializzati con denominazioni estremamente accattivanti che richiamano il potenziale effetto biologico ottenibile dal loro consumo: Bedtime Milk, Night Time Milk, iNdream, Nacht-Milchkristalle ecc.

Eppure tra le tante attività biologiche attribuite al latte, questa è forse la meno conosciuta al grande pubblico e ai mass media anche se, come detto, è una delle poche ad aver trovato un’interessante concretizzazione commerciale. Tanto da costituire, secondo Euromonitor, uno dei più interessanti trend di consumo nel 2016.

Ma cosa conferirebbe al latte notturno questi effetti sedativi simili, secondo alcuni, a quelli determinati dalle benzodiazepine? La ragione pare collegata alla maggior presenza di triptofano e di melatonina. Il primo, un amminoacido, è indispensabile per la sintesi della melatonina che, come noto, regola il ciclo sonno/veglia nell’uomo. La sintesi di melatonina nella vacca, quanto nell’organismo umano, segue un ritmo circadiano con un massimo di produzione e secrezione nel latte nelle ore notturne. Questa è la ragione per cui il latte munto di notte contiene una quantità maggiore (circa 10 volte) di melatonina rispetto al corrispondente latte diurno. Determinante risulta, quindi, lo stimolo luminoso tanto che, da più di 10 anni, sono stati brevettati metodi per produrre latte particolarmente ricco in melatonina controllando il livello di luminosità nella stalla e sottoponendo le vacche a specifici cicli di luce/buio.

Al di là della notizia in sé e degli effetti sull’uomo ancora da dimostrare, l’assunzione del latte serale o notturno è parte di molte culture e caratterizza l’evoluzione umana e di altri mammiferi, non solo per l’effetto psicoaffettivo legato all’allattamento del neonato prima di dormire. La co-presenza di madre e figlio lattante durante la notte e il libero accesso del neonato al latte materno ha, infatti, importanti conseguenze anche sulla fisiologia della mammella con interessanti ricadute, oltre che sulla composizione del latte, come per la melatonina, anche sulla quantità di latte stesso prodotto. Considerazione oggetto di diverse ricerche che hanno evidenziato l’efficacia di più mungiture sulla quantità di latte prodotto giornalmente. Di questi tempi e di notti insonni per il prezzo del latte, un grande dubbio potrebbe assalire l’allevatore: bere il latte notturno per sfruttarne l’effetto ansiolitico o impegnare la notte mungendo più latte?