Tale parametro non è solo un indice numerico ma è legato alla gestione sanitaria dell’animale, da cui deriva la qualità della filiera italiana e delle sue eccellenze.
Come noto, la qualità del latte è determinata dalla sua composizione e dalla corretta e igienica raccolta e conservazione del prodotto. La composizione del latte è influenzata da fattori genetici, nutrizionali e dallo stato sanitario delle bovine. In un precedente articolo abbiamo illustrato come la riduzione di tale qualità ricada negativamente sull’intera filiera produttiva e, a ulteriore conferma di queste osservazioni, in questo articolo affrontiamo il problema delle cellule somatiche. Questo problema si ritiene, a torto, che sia di esclusiva pertinenza dell’allevatore e, in effetti, l’adozione del pagamento a qualità del latte ha portato a una riduzione del contenuto cellulare medio in molti allevamenti. Il messaggio che è stato dato con questo approccio è semplice: la latteria vuole un latte di una certa qualità ed è compito dell’allevatore fornirlo a tali livelli, se vuole un premio. Questo approccio ha tuttavia incentivato comportamenti anomali volti a ridurre il contenuto cellulare in funzione del momento del controllo o di una particolare emergenza e non attraverso una riduzione strutturale dello stesso. Una conseguenza pratica di tale modo di procedere è rappresentata dal fatto che molti allevatori e, purtroppo, anche diversi tecnici vedono il parametro “cellule somatiche” come un indice numerico, non legato a uno stato patologico dell’animale. Pertanto gli interventi sono mirati a ridurre tale numero, senza tener conto delle reali cause, da cui l’uso di una miriade di prodotti con effetti “magici” e, come tali, inutili e costosi, l’adozione di protocolli terapeutici irrazionali che aumentano costi e rischi di residui nel latte e, nel migliore di casi, l’evitare di immettere in cisterna latte a elevato contenuto cellulare, con riduzione delle entrate per l’allevatore. Tutti questi sistemi possono avere un effetto “cosmetico” sulla qualità del latte, ma sicuramente non riducono i costi di produzione, aumentano i rischi per la latteria e complessivamente non fanno crescere valore e qualità della filiera latte.
Cosa sono le cellule somatiche
Il termine “somatiche” deriva dal termine greco per corpo poiché inizialmente si riteneva che queste cellule fossero soprattutto cellule epiteliali derivanti dalla mammella, ovvero dal corpo dell’animale, così da distinguerle dalle cellule batteriche di origine esterna. Anche se negli anni ’60 si è scoperto che in realtà le cellule somatiche sono soprattutto leucociti (neutrofili, macrofagi e linfociti), ovvero le cellule della serie bianca che circolano nel sangue, il termine “somatiche” ormai aveva preso piede e non fu mai modificato, contribuendo così a creare una certa confusione. I leucociti, ovvero le cellule somatiche, sono presenti nel latte in un numero e proporzioni variabili in funzione dello stato sanitario della mammella. In condizioni di sanità (<20.000 cellule/ml) i linfociti predominano (30-75%), mentre indipendentemente dallo stadio di lattazione e di sanità le cellule epiteliali sono comprese tra lo 0 e il 7% (Sarikaya et al., 2005). Se la mammella è invasa da un patogeno si innesca una risposta immunitaria più o meno imponente. Questa risposta è, infatti, variabile in intensità e durata in funzione del patogeno e dalla capacità difensiva della mammella, ma è comunque sempre caratterizzata da un richiamo di cellule leucocitarie e altre componenti dell’immunità innata presenti a livello di tessuti e di sangue. Quando osserviamo un aumento del contenuto in cellule somatiche, questo non è altro che l’espressione del fenomeno biologico sopra descritto e, se andassimo a differenziare le cellule presenti, vedremmo che i PMN sono diventati le componenti principali (>50%) a discapito soprattutto di linfociti e macrofagi (figura 1). Se l’aumento dei PMN in genere è veloce, la loro riduzione non è altrettanto celere e in genere, una volta risolta l’infezione naturalmente o grazie alla terapia, sono necessari giorni e, talvolta, settimane per tornare alla normalità.
Effetti delle cellule sui prodotti lattiero-caseari
Abbiamo prima accennato alle modifiche di composizione del latte con contenuto cellulare elevato e come questo possa influenzare negativamente la qualità dei prodotti. Infatti, il latte con contenuto cellulare elevato determina un abbassamento delle caratteristiche di “lavorabilità” del latte stesso attraverso un’alterazione delle caratteristiche tecnologiche, la riduzione dell’efficienza della trasformazione casearia e la potenziale riduzione della qualità dei prodotti finiti. Nelle successive tabelle 1 e 2 sono riassunte le principali alterazioni nella composizione del latte osservate a diversi livelli di contenuto cellulare. Le conseguenze a livello di caseificazione possono essere anche notevoli. Studi effettuati in Svizzera (Schaellibaum, 2001) hanno stimato che un aumento della media nazionale da 100.000 cellule/ml a 200.000 cellule/ml, per quanto riguarda il latte destinato alla produzione di emmenthal, porterebbe a una perdita diretta per i produttori pari a 880 tonnellate di formaggio all’anno per un importo di circa 10 milioni di euro. Analogamente, Summer et al. (2012) hanno dimostrato che la lavorazione a Parmigiano di latte con un contenuto compreso tra 400.000 e 1.000.000 cellule/ml rispetto a un latte con meno di 400.000 cellule/ml porti ad avere in caldaia il 3% di caseina in meno, ovvero 2,4 kg di prodotto in meno per caldaia. In aggiunta alle modificazioni riportate nelle tabelle, va ricordato che all’aumentare delle cellule somatiche, aumentano anche le lipasi e il plasminogeno. Entrambi questi enzimi hanno un’azione negativa sulla caseifi cabilità del latte, ma anche sulla conservabilità del latte sia crudo sia trattato termicamente (Santos et al., 2002).