I batteriofagi sono considerati la principale causa di rallentamento o di fallimento della fermentazione lattica durante la produzione di yogurt e formaggi. Le infezioni da batteriofagi rappresentano ancora uno dei principali problemi per l’industria lattiero-casearia, nonostante le soluzioni per contrastarle siano sempre più efficaci
I processi tecnologici che accompagnano la preparazione di gran parte dei prodotti lattiero-caseari includono fermentazioni a opera di batteri lattici, che possono essere soggetti a infezione da parte di specifi ci virus, detti batteriofagi (o fagi), la cui presenza è pressoché costante sia nella materia prima che in azienda. L’infezione da batteriofagi è una delle principali cause di fallimento del processo di acidifi cazione svolto dai batteri lattici durante la produzione di yogurt e formaggi e rappresenta quindi un grave problema per l’industria lattiero-casearia. La lisi dei ceppi di batteri lattici costituenti la coltura starter ad opera dei batteriofagi durante le prime fasi della trasformazione determina un rallentamento o, nei casi più gravi, un blocco della fermentazione lattica e, di conseguenza, dell’acidifi cazione del latte.
La mancata o ridotta produzione di acido lattico può avere ripercussioni anche gravi sullo svolgimento del processo tecnologico e sulle caratteristiche del prodotto fi nale e può inoltre favorire, per mancanza di competizione, lo sviluppo di microrganismi indesiderati o patogeni. Le sorgenti di infezione di batteriofagi possono essere la materia prima, l’ambiente di lavorazione e le colture starter. L’introduzione di colture selezionate, che ha comportato indubbi vantaggi nell’industria lattiero-casearia, avrebbe paradossalmente amplifi cato i problemi di attacco fagico qualora non si fosse affrontato e risolto il problema della sensibilità ai batteriofagi da parte dei ceppi costituenti la coltura. L’isolamento dei fagi e lo studio delle loro caratteristiche (grado di virulenza, spettro d’ospite) sono quindi fondamentali per poter approntare sistemi di difesa e gestire l’uso delle colture starter selezionate (Garneau e Moineau, 2011).
Prevenzione e controllo
Il miglior sistema di prevenzione e controllo dell’infezione fagica è legato al contenimento del numero di particelle virali presenti nella materia prima e nell’ambiente di lavorazione. Le ragioni sono legate alla cinetica di sviluppo dell’infezione all’interno della cellula ospite che, a ciclo litico concluso, libera anche fino a 100 nuove particelle virali in grado di infettare altre cellule. Il numero iniziale, possibilmente contenuto, di particelle virali può quindi fare la differenza fra un semplice rallentamento e un blocco totale dell’acidificazione del latte da parte della coltura starter. Esistono diverse modalità di prevenzione e controllo del problema fago in caseificio, tra le quali l’attenta pulizia e sanificazione delle caldaie, delle linee di riempimento, degli strumenti usati, dell’ambiente e delle attrezzature che vengono a contatto con la materia prima.
Il latte stesso è fonte di fagi e, al riguardo, giova ricordare che un efficace trattamento termico è in grado di inattivare la maggior parte di specie virali in esso presenti, pur con opportune eccezioni, che sottolineano una tendenza ad una crescente termotolleranza per alcuni biotipi virali. Lavori recenti indicano che, sebbene la maggior parte dei batteriofagi di batteri lattici non sopravviva a 90˚C per 2 min, alcuni sono in grado di resistere a 90˚C per oltre 15 min (Guglielmotti et al., 2012), condizioni incompatibili con un trattamento di pastorizzazione del latte.
Questa spiccata termotolleranza ha stimolato la ricerca e l’applicazione di biocidi chimici (clorurati, etossilati fosforici) sempre più efficaci per inattivare i batteriofagi dei batteri lattici, da abbinare al calore in un approccio “a ostacoli”.
Resistenza naturale e indotta
Il meccanismo d’azione di un batteriofago si basa sulla specificità esistente fra il parassita e la cellula ospite e ha come primo passaggio l’adesione del virus alla parete cellulare. Una volta penetrato all’interno della cellula, il virus inizia la replicazione del suo DNA (o RNA) che continua con l’assemblaggio di decine di nuove particelle fagiche mature che, in seguito a lisi dell’ospite, vengono liberate nell’ambiente circostante. In risposta alla infezione, molti batteri hanno sviluppato dei meccanismi naturali di resistenza, raggruppati in quattro classi: blocco dell’assorbimento del virus; blocco della penetrazione del fago; restrizione (distruzione) e modificazione dell’acido nucleico del virus appena entrato; infezione abortiva, che impedisce la replicazione del virus.
Grazie all’evoluzione della biologia molecolare, è oggi possibile “indurre” resistenza in ceppi sensibili mediante ricombinazione genetica, creando ceppi dotati di resistenze multiple al fago. Se da un lato è vero che in presenza di più meccanismi di resistenza verrà aumentato l’effetto, la pratica di laboratorio e l’esperienza industriale insegnano che esisterà sempre, prima o poi, una variante fagica in grado di bypassare i meccanismi di difesa, parassitando l’ospite. Questo meccanismo, definito di co-evoluzione fago- ospite, è ben noto in biologia e sottolinea l’ineluttabilità dell’infezione fagica e la necessità di ricorrere a livello industriale a metodi di difesa empirici, come la rotazione, che sarà trattata fra poco.
Colture naturali
Il controllo del problema fago in caseificio può dipendere anche dal tipo di innesto utilizzato. Per esempio, nei sieroinnesti naturali impiegati nella produzione di Grana Padano un’infezione fagica, se da un lato comporta la perdita di ceppi sensibili, sembra essere compensata dalla selezione spontanea di ceppi resistenti, o insensibili consentendo, nella maggior parte dei casi, di preservare un’adeguata attività fermentativa della coltura senza gravi ripercussioni sulle produzioni. Questo fenomeno trova conferma nella rilevata coesistenza di fagi e ceppi di Streptococcus thermophilus, Lactobacillus helveticus e Lactobacillus delbrueckii subsp. lactis all’interno di uno stesso sieroinnesto pur in assenza di problemi di acidificazione (Carminati et al., 2012).
Tuttavia, non è da escludere che una infezione fagica possa causare problemi di acidificazione anche all’interno di innesti naturali. Questo può succedere in quelle colture in cui, in seguito a condizioni particolari, tutti i ceppi di una medesima specie siano contemporaneamente lisati dai corrispondenti batteriofagi. Il verificarsi di questa circostanza potrebbe causare o un rallentamento più o meno accentuato dell’acidificazione (come in un sieroinnesto termofilo composto, per esempio, da L. helveticus e S. thermophilus) o l’arresto del processo (come in un lattoinnesto naturale termofilo, composto da S. thermophilus).