Il giro d’affari della filiera di bufala DOP è 1,22 miliardi €

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Hanno stupito lo stesso consorzio gli esiti della ricerca condotta da Svimez sull’impatto socio-economico della Mozzarella di bufala campana DOP. Hanno stupito in positivo perché l’indagine ha quantificato (dati 2017 di 62 produttori che rappresentano oltre il 90% del fatturato) il valore inaspettato – ovvero decisamente sottostimato anche dagli addetti ai lavori – di una filiera capace di generare, per ogni euro di fatturato dei soci del consorzio di tutela, 2,1 € nel sistema economico locale. Gli stessi dati hanno però lasciato l’amaro in bocca perché – come sottolineato da un adrenalinico presidente Domenico Raimondo nel corso della presentazione dello studio – i risultati avrebbero potuto essere ben diversi se gli imprenditori non dovessero confrontarsi con una burocrazia sempre più d’impiccio nell’operatività quotidiana. Ma veniamo alla ricerca.

Le dimensioni della filiera

Nel 2017 il fatturato della filiera bufalina ammontava a 577 milioni di euro mentre gli occupati erano 11.200, pari all’1,5% dell’occupazione totale delle province di Caserta e Salerno. Le 90 aziende del comparto poi assicurano l’1,4% del Pil totale delle due province sopra citate. Questi dati rendono tale filiera una delle maggiori realtà industriali del Mezzogiorno.

Riflettori puntati sui bilanci delle aziende

La ricerca Svimez mostra come il livello medio del margine d’impresa, calcolato rapportando il risultato prima delle imposte al volume del fatturato, è pari a 6,3% (6,8% al lordo della gestione finanziaria). Risultato pregevole soprattutto se lo si raffronta con quello delle medie imprese industriali meridionali (4,9%, dato del 2016) sia del settore alimentare in particolare (3,4%, dato del 2016).

Nel 2017 il fatturato prima delle imposte delle aziende consorziate è stato di 36,6 mio di euro che, al netto, scende a 577 milioni di euro. Il fatturato medio netto (9,3 mio per impresa) risulta essere superiore a quello del sistema produttivo tanto nazionale (654 mila euro) quanto meridionale (circa 390 mila euro). Inoltre il 93,2% del fatturato serve a coprire i costi di produzione.

Se rapportati al fatturato e al lordo degli ammortamenti gli investimenti rappresentano il 14,9%, a testimonianza di una sostanziale solidità del sistema. Investimenti in gran parte autofinanziati peraltro. Altrettanto solida è la gestione finanziaria: nelle aziende studiate gli interessi passivi sul debito si attestano allo 0,5% del fatturato, surclassando il dato delle migliori imprese del Sud Italia.

Dove agire per crescere

L’indagine Svimez ha fornito al consorzio tre aree su cui focalizzarsi per un’ulteriore crescita: operare con il sistema bancario per accrescere gli investimenti; rafforzare il brand sui mercati esteri; investire sulla formazione per favorire l’inserimento di nuove professionalità e rafforzare le attività di servizio alla produzione (ricerca, marketing, assistenza vendita e servizi finanziari).

Forse ci sarebbe un quarto driver su cui agire, quello della semplificazione burocratica, che già tormenta il presidente Raimondo… Ma questa è un’altra storia.