La magia del benessere

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Il benessere animale è un concetto consolidato nel diritto dell’UE e un pilastro della strategia Farm to Fork. Se anni fa la sua valutazione era quasi un esercizio astratto, oggi la sua oggettivazione è ormai parte (cogente) delle strategie operative e di mercato della filiera latte.

Il tema è comunque complesso. Se è vero che, secondo un sondaggio Ipsos, il 69% dei cittadini europei vorrebbe l’istituzione di un commissario per il benessere degli animali, la maggior parte di essi ha poca conoscenza delle effettive condizioni in cui gli animali vengono allevati. Inoltre, è innegabile che sull’argomento esistano differenze di vedute tra consumatori e allevatori a livello di coinvolgimento e di percezione del problema.

Quella che spesso prevale tra i primi è una generale riprovazione dell’allevamento intensivo di vacche da latte, identificato come un modello non sostenibile e prima causa del malessere animale. Un convincimento non di rado accentuato dalla tensione emotiva con cui i consumatori vivono questo argomento.

Merito o (demerito a seconda di come la si veda) anche di campagne, soprattutto sui (social) media, allarmistiche e a volte scollegate da quanto accade veramente nella maggior parte degli allevamenti intensivi.

Campagne come quella dell’organizzazione “Animal Equality” che, di recente, ha sostenuto la necessità di abbandonare il settore lattiero-caseario e il passaggio a un’alimentazione a base di proteine vegetali. Propositi ripresi dalle più importanti testate giornalistiche anche perché comunicati attraverso un video sul web in cui il “dramma che si consuma (anche in termini di benessere) all’interno degli allevamenti da latte” aveva come voce narrante l’attrice Miriam Margolyes, meglio conosciuta come la professoressa (Pomona) Sprout in Harry Potter. Maghetto che, ironia della sorte, fu trovato neonato sulla soglia di casa dalla zia Petunia Dursley mentre sistemava le bottiglie del latte. Del quale, confesso, non conosco però l’origine intensiva o estensiva.

Messaggi che affabulano e convincono, e per questo mediaticamente popolari e virali. Anche per il benessere animale è perciò necessaria un’esaustiva strategia comunicativa di filiera. Ma quale? La suggestione evocativa di un video e di una “magica” voce narrante sul web? O un più oggettivo ma asettico elenco di indicatori tecnici su un’etichetta? Di sicuro le modalità con cui il consumatore determina le proprie convinzioni su questo argomento diventano sempre più importanti. In mancanza di una chiara e comprensibile comunicazione, soprattutto al tempo del digitale, si corre il rischio che molte persone comuni, per intenderci i “babbani”, alla fine non diano credito alle informazioni di allevatori e aziende. Paradossalmente in un momento in cui lo sforzo della filiera latte per migliorare il benessere animale è evidente, come la concretezza dei risultati già ottenuti.