Alcune persone temono di non introdurre con la dieta abbastanza vitamina D, fondamentale per la salute delle ossa, ma forse ne sottostimano la quantità effettivamente ingerita. La vitamina D è naturalmente presente in alimenti come il pesce (salmone, trota, sardine…), il fegato, il tuorlo d’uovo, l’olio di fegato di merluzzo, ed è anche nel latte, in cereali e succo d’arancia arricchiti, così come negli integratori alimentari. Come noto, poi, è l’esposizione alla luce solare a innescare la produzione di vitamina D.
Una nuova ricerca ha rilevato che gli alimenti di origine animale (uova, talune carni e prodotti lattiero-caseari) ricchi di vitamina D contengono anche un’altra forma meno conosciuta di questa sostanza nutritiva che non viene determinata routinariamente negli alimenti, secondo quanto affermato da Janet Roseland, nutrizionista in forza allo U.S. Department of Agriculture’s Nutrient Data Laboratory.
Per anni nei laboratori ci si limitava alla determinazione della vitamina D3 (forma primaria) e D2 negli alimenti e integratori. Ma alcuni alimenti contengono anche la 25 (OH) vitam. D, molecola che non è tipicamente inclusa nel calcolo del tenore totale della vitamina D presente negli alimenti, nonostante possa essere da due a cinque volte più potente della vitamina D3 o D2.
Così scienziati di cinque laboratori qualificati (statunitensi e non) hanno applicato metodi rigorosi all’analisi del contenuto di vitamina D in cibi e in un integratore, per verificare la riproducibilità dei risultati. «I ring test hanno mostrato la riproducibilità dei risultati ottenuti dalle misurazioni di 25 (OH) D e di altre forme, così in futuro potremo avere migliori determinazioni del contenuto totale di vitamina D negli alimenti» ha chiosato Roseland. La ricerca è stata finanziata dall’Agricultural Research Service di USDA e dal National Institutes of Health’s Office of Dietary Supplements.