Le azioni dell’industria di marca per contrastare il cambiamento climatico

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Centromarca, Associazione Italiana dell’Industria di Marca, ha presentato le principali evidenze del rapporto “Azioni e impegni per lo sviluppo sostenibile dell’Industria di Marca in Italia”, realizzato in collaborazione con il Dipartimento di Economia aziendale dell’Università degli Studi Roma Tre. L’esame di 9.500 pagine di documenti pubblici, bilanci di sostenibilità e oltre 30mila dati ha consentito di scattare una fotografia aggiornata dell’azione dell’Industria di Marca (IdM) alimentare e non food in campo ambientale, sociale ed economico.

La metodologia di analisi utilizzata, lo standard GRI (Global Reporting Initiative) ha permesso una valutazione oggettiva delle evidenze raccolte.

Su 188 industrie aderenti a Centromarca, 162 (l’86%) comunicano all’opinione pubblica azioni e obiettivi futuri nel campo della sostenibilità (nel 2020 era il 74%). Lo fanno in egual misura (86%) anche le 95 aziende food aderenti a Centromarca. Redige un report di sostenibilità il 39% delle aziende socie e di quelle alimentari in particolare. Lo strumento d’elezione per informare è il sito istituzionale (86% dei casi). Quattro industrie su cinque hanno online una sezione di approfondimento.

Gli ambiti d’azione

Dal rapporto emergono le aree su cui il sistema marca, con riferimento allo standard GRI, sta concentrando i suoi interventi. In campo ambientale, in base alle dichiarazioni pubbliche delle IdM, contrasto del climate change e uso responsabile delle risorse emergono con chiarezza tra le priorità. Al primo posto tra le attività comunicate figurano: gli interventi per la riduzione delle emissioni (67% di aziende le rendiconta); azioni per il contenimento e la razionalizzazione dei consumi energetici (61%); uso responsabile delle materie prime (57%); ottimizzazione dei consumi idrici (56%); gestione dei rifiuti (56%). Tra gli impegni futuri: ulteriori interventi su materie prime (49%) ed emissioni (48%).

In ambito sociale, sempre in base alle dichiarazioni delle IdM, le pari opportunità di genere e la valorizzazione delle diversità sono i fronti su cui si concentrano gli sforzi più consistenti (60% delle aziende). E poi, il presidio di salute e sicurezza (54%), occupazione e creazione di posti di lavori (44%), formazione (44%). Nel campo della sostenibilità economica un posto di primo piano spetta alla diffusione di informazioni sui risultati economici (36% delle industrie); seguono le attività anticorruzione (28%) e le buone pratiche di approvvigionamento (19%). Queste ultime, insieme all’andamento economico, sono indicate come fronti di ulteriore intervento a breve e medio termine.

In fieri

«Dal rapporto emerge un rafforzamento dell’impegno del Sistema Marca pressocché in tutte le aree della performance sostenibile», ha sottolineato Vittorio Cino, direttore generale di Centromarca. «Le nostre industrie stanno affrontando una sfida complessa, con ingenti investimenti, comunicando con gli stakeholders e consapevoli degli obblighi derivanti da una normativa che in prospettiva sarà sempre più rigorosa. Soprattutto sono consapevoli dell’importanza di un approccio di filiera alla sostenibilità, che coinvolga tutti gli attori. In Centromarca lo consideriamo indispensabile per incidere realmente negli ambiti ambientale, sociale ed economico. Per questo abbiamo stilato un piano di attività in cui coinvolgeremo gli stakeholder: dai partner commerciali alle associazioni del consumerismo-ambientalismo». Una conferma della particolare attenzione delle aziende Centromarca per lo sviluppo sostenibile si evince dal confronto con l’indagine Istat Pratiche sostenibili delle imprese, realizzata quest’anno su un panel di circa 4mila imprese industriali e dei servizi che hanno risposto a un questionario anonimo. All’86% di IdM che comunicano iniziative e impegni attraverso dati ufficiali pubblici si contrappone, infatti, il 60% del dato nazionale, decisamente più contenuto. In dettaglio: il 78% delle IdM è impegnato in campo ambientale, rispetto al 50% rilevato a livello nazionale; nel sociale il 68% rispetto al 45%; sul fronte economico il 39% rispetto al 37%.