L’erba dolce degli Inca

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L’impiego degli estratti delle foglie della stevia come potente dolcificante a zero calorie è ormai entrato nelle formulazioni delle maggiori bevande di massa che, da oltre un ventennio, sono nel mirino degli esperti di nutrizione mondiale, per l’elevato apporto calorico nei consumi alimentari di tutte le fasce d’età. L’utilizzo della stevia è pertanto promosso da due concomitanti necessità: la diminuzione del potere calorico e l’incremento dell’impiego di ingredienti naturali e vegetali nelle diete alimentari.

La pianta e la sua storia 

La Stevia rebaudiana Bertoni è una pianta originaria della valle del Rio Monday che scorre nel nord-est del Paraguay, confinante con Brasile e Argentina. Già in uso in Età precolombiana presso la civiltà Inca, gli indigeni Guaranì nei tempi recenti la chiamavano “ka’a he’e˜” (erba dolce), e per secoli è stata utilizzata in diverse infusioni, ma sopratutto per coprire il sapore amaro del “Mate”, una sorta di tè, preparato con Ilex paraguayensis (Erba mate).

La stevia deve il suo nome a tre persone: al medico e botanico Pedro Jaime Esteve (1500-1556), al naturalista svizzero Mosè Bertoni (1857-1929) che fu il primo a descrivere scientificamente la pianta nell’Alto Paranà, e al chimico Ovidio Rebaudi (1860-1931) che pubblicò nel 1900 l’analisi dei primi due glicosidi steviolici identificati (stevioside e rebaudioside A) della polvere delle foglie della pianticella detta anche “zucchero verde” (successivamente sono stati caratterizzati almeno una decina di glicosidi steviolici). La pianta è stata quindi classificata: nel genere Stevia, specie rebaudiana, in onore al chimico che caratterizzò le sostanze edulcoranti, e nella nomenclatura binomiale Bertoni in ossequio al naturalista che descrisse scientificamente l’arbustello.

La Stevia rebaudiana Bertoni appartiene alla famiglia delle Asteracee, è una pianta perenne poco resistente al gelo, e nei climi più freddi è coltivata come semi-perenne. È alta circa mezzo metro, ha foglie ovate opposte con numerosi fiori tardo-autunnali, molto piccoli, ermafroditi di colore tendente al bianco. A portamento arbustivo, la pianticella non cresce bene nei terreni compatti, preferisce quelli sciolti, pertanto ideale per ambienti ruderali con terreno smosso. Tollera bene l’acidità del suolo, richiede un’esposizione soleggiata, anche se tollera la posizione semi-ombreggiata. Sino al 1955 era coltivata solo in Paraguay, mentre oggi è coltivata con metodi intensivi in Paraguay, Brasile, Colombia, Giappone, Singapore, Taiwan, Corea del Sud e Cina, talvolta persino con impianti d’irrigazione “goccia a goccia”. In agricoltura, la stevia viene anche impiegata per irrorazioni fogliari e sovescio, con ottimi risultati in termini di serbevolezza e qualità organolettiche dei frutti coltivati, come anche per migliorare lo stato chimico e batteriologico del suolo coltivato.

[box title = “Glicosidi steviolici: la posizione di EFSA”]

Il 26 gennaio 2011 l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha rivisto la sua precedente valutazione dell’esposizione dei consumatori ai dolcificanti glicosidi steviolici sulla base dei livelli di impiego rivisti proposti dai richiedenti. …Omissis…

Tenendo conto degli impieghi proposti rivisti e dei livelli di impiego presentati dall’industria, l’EFSA ha calcolato l’esposizione ai glicosidi steviolici contenuti in varie categorie di alimenti tra cui bevande analcoliche aromatizzate che, viste le abitudini di consumo alimentare, sarebbero tra le principali fonti di esposizione ai glicosidi steviolici sia per gli adulti che per i bambini. Per il calcolo dell’esposizione l’EFSA ha usato i dati di diverse banche dati sul consumo di prodotti alimentari, tra cui la banca dati particolareggiata dell’EFSA sui consumi alimentari.

Per i forti consumatori le stime di esposizione riviste ai glicosidi steviolici restano superiori all’ADI stabilita di 4 mg per kg di peso corporeo. Per i bambini europei (di età compresa tra 1 e 14 anni) l’esposizione varia da 1,7 a 16,3 mg/kg p.c./giorno; e per gli adulti le stime di esposizione riviste variano da 5,6 a 6,8 mg/kg p.c./giorno. (Comunicato EFSA).

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Utilizzi in campo alimentare 

Alla stevia, quale antico componente della medicina Inca e Atzeca, non manca chi riconosce proprietà straordinarie, e lega la longevità degli imperatori Inca al generoso consumo dello “zucchero verde”, oltre che alle sue infusioni fermentate.

Di fatto, ancor oggi, si può constatare che la polvere delle foglie di Stevia rebaudiana allo stato grezzo ha un potere dolcificante circa 30 volte superiore al saccarosio, e una volta purificata in formulazione anidra o liquida, arriva a un massimo di circa 250-300 volte.

Chiaramente, un dolcificante tanto potente quanto privo di calorie, non poteva che attirare l’attenzione dei maggiori utilizzatori-distributori di zucchero, costantemente orientati e impegnati a servire un mercato di consumatori sovrappeso, quando non anche obesi o diabetici.

Lancio di prodotti food e bevande, contenenti stevia

La storia recente delle applicazioni in campo alimentare della stevia iniziano con una forte polemica in Europa e Stati Uniti d’America, secondo alcuni manovrata dalle potenti lobby operanti nel comparto degli zuccheri e dei dolcificanti. In pratica un suo componente, lo “steviolo”, fu sospettato di cancerogenicità. Poi, nel 2008, si mossero i giganti, e i dubbi sparirono: Coca Cola, Pepsi Co, Cargill, Whole Earth Sweetener Company ottennero le prime autorizzazioni all’uso, prima limitato e poi generalizzato. In definitiva la stevia è stata giudicata molto meno dannosa di altri dolcificanti di sintesi. Chiarificante in tal proposito l’evoluzione della normativa a riguardo negli Stati Uniti d’America, ovvero dell’organo federale preposto FDA: proibizione all’impiego nel 1991; autorizzazione come integratore alimentare nel 1995; autorizzazione come dolcificante naturale GRAS (Generally Recognised As Safe – Riconosciuto Generalmente Come Sicuro) nel 2008. E, proprio non casualmente, nel 2007 Coca Cola e Cargill ottennero 24 brevetti per addolcire bevande e alimenti con estratti della stevia da soli o in miscela con altri ingredienti.

Nell’Unione Europea la dolcissima stevia è stata autorizzata tramite il Reg. 1131/2011 della Commissione della UE dell’11 novembre 2011 come additivo alimentare (vedi box). Esperti di settore prevedono che sin dal primo anno di commercializzazione possa raggiungere una quota del 20% del mercato di riferimento.

In Giappone, la coltivazione della stevia è iniziata nel 1955 e oggi detiene il 40% del totale del mercato dei dolcificanti, come sostituto del ciclamato e della saccarina.

Come sostituto dello zucchero a zero calorie, stevia offre nuove opportunità ai consumatori orientati a prodotti naturali e ipocalorici per un efficace controllo del peso tramite una dieta bilanciata. All’industria agroalimentare e delle bevande, i dolcificanti a base di stevia propongono la possibilità di riformulare i prodotti, mediante un ingrediente naturale libero da effetti calorici.

Per i Governi, i legislatori e decisori, e tutti quanti sono interessati al miglioramento del profilo nutrizionale della massa dei consumatori mondiali, gli oltre 2.000 nuovi preparati disponibili sul mercato globale costituiscono una risorsa salvifica per la drammatica battaglia contro l’obesità e il diabete. Ulteriori informazioni sul sito: www.internationalsteviacouncil.org.

[box title = “Il saccarosio tra il dollaro e l’euro”]

Circa il 7% delle calorie alimentari bruciate ogni giorno sul pianeta Terra derivano dal saccarosio, e questa sua importanza strategica l’ha portato in varie occasioni al centro della vita politica e sociale del mondo occidentale. Oggi si stima che il totale giro di affari mondiali dello zucchero da cucina sia intorno ai 60 miliardi di USD dei quali 50 in capo alla canna e circa 10 alla barbabietola, per una produzione complessiva di circa 230 milioni di tonnellate, delle quali 170 della canna e circa 60 della barbabietola. Una strada molto lunga quella percorsa dalla canna da zucchero, una pianta addomesticata e coltivata in Nuova Guinea già nel 6000 a.C.; diffusasi prima nelle Filippine, arrivava più tardi in India e in altre regioni asiatiche. Un testo indiano del 400-350 a.C. citava “la sostanza dolce”, probabilmente in forma cristallina, per la prima volta. Lo zucchero di canna arrivava a Venezia nel 996 d.C., e Cristoforo Colombo lo portava nel Nuovo Mondo nel 1493. 

Il saccarosio da barbabietola essendo meno competitivo rispetto a quello di canna ha potuto sopravvivere grazie a tutele tariffarie doganali, oltre che a pesanti interventi di sostegno pubblico a favore dei coltivatori. L’Unione Europea, quale massimo produttore mondiale della barbabietola da zucchero (50% del totale) aveva infatti incluso questa coltivazione nei suoi provvedimenti della Politica Agricola Comune, politica che oggi è in fase di smantellamento. Infatti, contrariamente a quanto richiesto dai produttori bieticoli, saranno liberalizzate le quote di produzione.

L’Italia produce il 30% dello zucchero consumato. [/box]

Le applicazioni nel settore lattiero caseario 

L’impiego di zucchero nell’industria del latte e del gelato si è consolidato nel tempo e le strategie d’impiego dei dolcificanti ipocalorici sono in atto da anni. L’arrivo del dolcificante naturale a calorie zero, come facilmente prevedibile, ha infatti rinvigorito il lancio di nuovi prodotti a carattere naturalistico-ipocalorico. I primi impieghi registrano la stevia come dolcificante per yogurt, dessert e gelati. Ecco una lista incompleta di aziende, perché destinata ben presto a raddoppiare, che commercializzano derivati lattei contenenti estratti di stevia: Andechser, Arla, Colun, Danone, Liberté, Miyogur, Red Wood Hill Farm, Stonyfield, Tillamook, Voskos, Yakult, Yoplait.  Infine, non si può sottacere su alcune difficoltà da superare per impiegare la meravigliosa stevia. Infatti, quando i cristalli purificati sono assaggiati in purezza, rilasciano un abbondante e persistente sapore dolce molto persistente, che si stempera lentamente lasciando in bocca sensazioni trigeminali di astringenza e note aromatiche amarognole tendenti alla liquerizia. In questo momento intervengono gli esperti aromatieri con le loro collaudate tecniche di mascheramento degli aromi indesiderati. In effetti, non si tratta di risolvere un grave problema, ma di stabilizzare le caratteristiche sensoriali del prodotto finito a un elevato livello di accettabilità e costanza sensoriale accettabile dalla grande maggioranza dei consumatori potenziali. Per altro, l’effetto mascherante della crema del latte è noto da tempo, come da tempo è sfruttato l’effetto coprente della frutta aggiunta allo yogurt nelle varie formulazioni (pezzi, purea, estratti) e ai latti fermentati. In questi ultimi casi la predominanza degli aromi vegetali e fruttati annullano sicuramente quelle note finali del dolcificante assaggiato in purezza. 

In arrivo anche il frutto del Budda

In un quadro globale alquanto scettico, negli USA, qualche anno fa, lo “zucchero degli Inca” era impiegato da Coca Cola nei succhi di frutta con marchio “Odwalla” in una miscela denominata “Truvia”, e dalla Pepsi Co. nella bibita “Sobe” in una combinazione di zuccheri chiamata “PureVia”. Per contrastare il nascente monopolio sud americano, i cinesi, dal canto loro, immettevano sul mercato un nuovo dolcificante naturale ricavato da Luo han guo, il frutto di una pianta delle Cucurbitacee (la famiglia della zucca) maggiormente noto come “frutto del Budda” o “frutto del Monaco”. Il nome scientifico del Luo Han Guo è Siraitia grosvenori, in precedenza già detta Momordica grosvenori. Il frutto noto ai cinesi per il dolce sapore era utilizzato anche come erba medicinale per il trattamento della tosse, del mal di gola, e riconosciuto nel Sud della Cina come portentoso agente anti-invecchiamento.

La concorrenza dei dolcificanti non calorici, batte alla porta!

Vincenzo Bozzetti