Stop alle quote latte: e adesso?

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Necessaria la certezza di indicazione obbligatoria dell’origine

Giorgio Apostoli, responsabile zootecnia di Coldiretti

Ovviamente gli effetti, se pur non immediati, saranno quelli di un aumento della produzione lattiera comunitaria. Alcuni Paesi membri come l’Olanda, alcune zone della Germania, ma ancor di più l’Irlanda, sono già attrezzati in tal senso. Resta da capire l’entità dell’aumento anche considerato che oggi, e fino alla chiusura del regime delle quote latte, molti allevamenti europei cesseranno la produzione, complice il difficile momento che sta attraversando il settore nel vecchio continente. Comunque è realistica la stima di un aumento del 2-3% della produzione attuale del latte europeo. È ovvio che questo non gioverà al regime dei prezzi del latte alla stalla. Notevoli difficoltà si registreranno soprattutto per quelle zootecnie da latte che risiedono nelle zone più fragili e sensibili dell’Unione. Anche in Italia si può prevedere un aumento delle produzioni di latte non più limitate dalle quote. Del resto, già per la corrente annata lattiera, viene stimato un supero della quota nazionale attorno all’1-2%. Tale prevedibile incremento dovrà confrontarsi con i prezzi delle maggiori produzioni nazionali che utilizzano il latte italiano. Mi riferisco in particolare al Grana Padano e al Parmigiano Reggiano che assorbono, assieme alle altre DOP minori, la metà del latte italiano. L’altra metà è rappresentata da produzioni, a parte il latte fresco (circa il 10%), non tutelate da nessuna menzione dell’origine del latte in etichetta e quindi maggiormente esposte alla concorrenza spietata del latte d’Oltralpe, che sicuramente è e sarà più concorrenziale del nostro. Il nostro Paese ha un’enorme potenzialità di esportazione dei grandi formaggi DOP. Le performance dell’ultimo anno ci danno la misura di come possiamo ancora crescere in un mercato mondiale in cui nuove generazioni abbienti potrebbero rappresentare il futuro per le nuove leve di allevatori italiani. La lotta alla contraffazione e alla deturpazione delle denominazioni appare sempre più come un’esigenza da perseguire con tutti i mezzi. Parlare di cessazione delle quote latte senza parlare della certezza di indicazione obbligatoria dell’origine, oltreché di altre definizioni volontarie che entrano nella sfera “dell’etica” (benessere animale, ogm free…), della lotta serrata alla agropirateria nel settore caseario , dell’istituzione e attivazione di vere “filiere agricole italiane” (anche partendo dal latte UHT), potrebbe rappresentare per gli allevatori italiani di bovine da latte un grande problema per il dopo quote latte. Abbiamo due anni a disposizione per attrezzarci, diamoci da fare.

Obbligati a essere competitivi

Roberto Brazzale, presidente dell’omonima azienda di famiglia

La fine del regime delle quote latte è una grande rivoluzione, assolutamente necessaria per rimanere competitivi. Il ritorno alla completa libertà produttiva dopo 30 anni metterà in difficoltà le regioni marginali con costi elevati finora protette. Ci aspettiamo una concentrazione delle produzioni nelle zone a più alta vocazione, in particolare verso le regioni a clima umido dell’Europa settentrionale. Una maggiore offerta produrrà i suoi effetti anche in Italia, specialmente sul latte non destinato a produzioni DOP contingentate. Non è detto che la produzione italiana debba calare, certamente guadagnerà efficienza con la chiusura di molte stalle marginali e il potenziamento di quelle efficienti. Quanto agli effetti interni, ricordiamo che in Italia il regime delle quote di fatto non è stato applicato e che il pagamento delle multe potrebbe far chiudere aziende ad alto potenziale produttivo. Una situazione sui generis. L’UE ha regalato alle OO.PP. uno strapotere negoziale distorsivo della concorrenza in grado di mettere a repentaglio la sopravvivenza delle piccole e medie imprese di trasformazione, a beneficio delle strutture cooperative sindacalizzate. Ma non è detto che in Italia si riescano ad aggregare OO.PP. di dimensioni rilevanti, a causa dell’individualismo tipico del nostro paese. La domanda mondiale è in costante crescita e il trend è previsto proseguire molto a lungo. Ci saranno molte opportunità, ma saremo obbligati ad essere competitivi. Per l’UE, dopo decenni, potrebbe essere l’occasione di ritornare protagonista sui mercati internazionali, che il regime delle quote ha regalato a Nuova Zelanda e Australia. Speriamo soltanto che il Parlamento Europeo, sempre molto disponibile verso i sindacati agricoli, non si inventi qualche amenità per far rientrare le quote dalla finestra.

Risolvere le inefficienze interne

Tommaso Mario Abrate, presidente settore lattiero-caseario di Fedagri-Confcooperative

Se la filiera europea vorrà competere ad armi pari con i concorrenti, che sono molto agguerriti, dovrà risolvere velocemente le inefficienze e le debolezze interne, attuando le necessarie ristrutturazioni, specializzazioni, integrazioni, internazionalizzazioni. Gli effetti della liberalizzazione produttiva possono essere equiparati a quelli di uno tzunami annunciato. Chi saprà elevarsi oltre certi livelli sarà risparmiato, ma chi si farà trovare impreparato potrebbe essere spazzato via in breve tempo. Sul fronte produttivo i parametri stabiliti dall’UE per i nitrati potrebbe essere un freno all’aumento della produzione lattiera, soprattutto nelle aree più vocate ed a maggiore concentrazione lattiera; quanto ai prezzi il nostro successo deriverà dalla capacità che avremo nel compensare la riduzione dei prezzi con l’aumento della capacità competitiva. Il rafforzamento dell’offerta dei produttori, a seguito della nuova situazione normativa, potrebbe essere soltanto nominale se venisse a mancare il presupposto della competitività sul versante economico: l’effettiva concentrazione del latte ai fini commerciali, per dare valore aggiunto ai produttori. Su questo fronte il “pacchetto latte” è stato a mio avviso deludente perché si limita ad incoraggiare la concentrazione del latte sul versante meramente contrattuale. Confido che i produttori che non sono ancora organizzati sappiano andare oltre gli obiettivi di base delineati dal legislatore europeo (frutto di una mediazione tra realtà dei 27 Paesi membri assai diversificate), mettendo insieme il loro latte per venderlo, e non soltanto per contrattualizzarlo. Questo è il nostro progetto di cooperatori, che sosteniamo forti di una storia che ha dimostrato la bontà dell’agire insieme, non soltanto per il valore solidaristico che questo comporta. Sul fronte internazionale, dovremo cercare nuovi sbocchi sia per collocare la nostra maggiore produzione lattiera, sia per compensare i maggiori consumi nel nostro Paese di prodotti esteri con una maggiore quota di export dei nostri prodotti. Gli scenari sono molto più vasti e complessi rispetto al passato; per riuscire nella nuova decisiva sfida dobbiamo dotarci di strutture competitive, con adeguata massa critica e capacità di rischio: dobbiamo dunque unire gli sforzi di tanti intorno a progetti comuni, ed in quest’ambito il tipo di società che rappresento, la cooperazione, può costituire uno strumento congeniale, e decisivo, per una nuova stagione di sviluppo al centro del quale è sempre il produttore, ancora protagonista.

 

Stefania Milanello